sabato 4 luglio 2015

Mio Nonno e TRINCEE di Marco Baliani - Orizzonti Verticali - San Gimignano Siena



Alcune volte certe coincidenze mi sorprendono, mi lasciano a sguazzare nella mia mente (o nel mio cuore) per giorni...

Io non ho avuto 4 nonni come tutti, perchè mia madre ha perso i genitori prima che io nascessi e io li ho conosciuti dalle lettere, dalle fotografie, ma nella mia mente i nonni erano solo due, i genitori di mio padre.

Ho avuto ed ho  un legame profondissimo con loro: mio nonno è morto quando avevo 18 anni, mia nonna è una fantastica 86enne.

Ho fantasticato tanto sulla vita di mio nonno, perchè quando ho avuto il tempo  della curiosità lui non c'era più, ho intervistato mia nonna, l'ho ripresa con la telecamera, l'ho ovviamente fotografata mentre mi raccontava la loro vita, il loro matrimonio, le loro lotte, i lutti, le gioie, la malattia, la morte,  ma di lui mi rimangono solo i suoi ricordi, i miei ricordi... e tanti troppi interrogativi.

Non raccontava della guerra, non raccontava della sua prigionia in Inghilterra.
Si sedeva sotto un olmo e guardava la collina che sorge dietro la nostra casa in Maremma, e io che ero piccola, mi sedevo accanto a lui, il mio nonno, quello che mi portava il MARS, i BOERI, i trenini a molla, lui il giovedì veniva a Grosseto, andava al mercato e passava a trovarci: giocattoli, ogni volta, cioccolate, e sotto a quel suo albero mi chiedevo a cosa stesse pensando, gli facevo le domande dentro di me e mi immaginavo le sue risposte.
Era un uomo buono, sorrideva sempre.
Ricordo le nuvole di fumo bianco del suo trinciato, le sue cannottiere bianche e la sua mano senza un dito, e ricordo quando mi portava sulla vespa o in bicicletta, ricordo le nostre colazioni con il suo pane abbrustolito perchè le merendine "non erano buone".

Porto da molti anni con me una sua foto, sarà del 1930, è giovanissimo, lui era del 1914, è nato l'anno prima dell'inizio della grande guerra. Ha partecipato alla seconda.
So che fu fatto prigioniero, so che lo portarono prigioniero in Inghilerra, che lo avevano dato per morto, ma poi non so altro.

Ho sempre pensato che lui pensasse alla guerra sotto quell'olmo, ho sempre pensato che la guerra che lui aveva visto doveva essere così terribile che non se ne poteva parlare in tempo di pace, davanti ad anime indifese come quelle dei bambini.

In questi giorni lo penso, mi viene in mente quando mangio un gelato all'amarena, che non so perchè associo a lui, lo penso quando la sera entra un po di aria fresca dalla finestra dopo il caldo torrido di queste giornate e si sente il profumo di salsa di pomodoro che cuoce sul fuoco, lo penso quando penso alla guerra... e mi chiedo quanto male deve avergli fatto, a lui e a quelli della sua generazione, quanto male faccia a tutti.

Ieri sera sono stata a vedere Marco Baliani e il suo spettacolo a San Gimignano per la serie di eventi di Orizzonti Verticali e ho trovato la voce di mio nonno.

Certo la guerra di cui parla Baliani è quella del 15-18, ma io credo che gli orrori della guerra non cambiano, non diminuiscono di guerra in guerra.

Avrei voluto piangere, ma come sempre faccio, ho chiuso, consapevole che fosse davvero troppo per la mia sensibilità, ero li in trincea, in mezzo al fango...

C'era la voce di tutti quei ragazzi giovani mandati a morire, come dice Baliani a un certo punto, solo per far guadagnare qualcuno, c'era il sangue, le ferite, il puzzo di urina, il puzzo di sangue rappreso, di adrenalina, di paura, di assurdità.

C'era un Marco Baliani da solo, con una proiezione e un manichino.

Poi c'era il male della guerra e la grandezza di un attore che ci ha preso tutti e ci ha messo dentro un film, tra granate e gas mortali, tra voglia di libertà e rassegnazione alla condizione di schiavi, servi, soldati.
Che ci ha accompagnato, a volte lacerandomi, nell'assurdità della guerra.

Bellissimo anche il lavoro del visual artist, ci vorrebbe un altro post...

Ho aspettato oggi per realizzare, comprendere che ieri sera sono riuscita a sapere da cosa mio nonno mi proteggeva, da cosa ha protetto tutta la sua famiglia: una peste che si augurava non dovesse più tornare.

Oggi ho continuato a risentire nel cuore e nella mente i monologhi di Baliani: le lettere che si scrivevano dal fronte per rassicurare quelli a casa, l'onore per la patria, la paura della morte o la sua ricerca, la fame, la sete, l'ingiustizia dell'essere nati poveri e essere in trincea, i pidocchi, le mutilazioni, la diserzione unica saggezza in quella follia, la follia di chi aveva eseguito gli ordini ed era andato contro la propria morale...


Uno spettacolo per i potenti che decidono le sorti dei popoli, uno spettacolo per il popolo che si educhi a disertare il concetto di guerra, a comprendere che siamo tutti esseri umani, degni di vivere...

E la fotografia?
Marco Baliani mi ha scaraventato addosso un milione di fotografie, la sua recitazione sinestetica mi mostrava distese di morti, le strette trincee, le bombe che esplodevano, i soldati che morivano in corsa e io sono andate a cercarle quelle foto, sono quelle che ho incollato qui sotto.

Una foto è una testimonianza ma forse certe foto ci hanno come anestetizzato, sono meno potenti, meno efficaci, sembrano lontani...lo dice anche la Sontang, Sulla fotografia, del fascino delle foto di guerra ma del pericolo che ci si abitui che si fraintenda il contenuto bidimenzionale con la verità. La fotografia è sempre una selezione, una riduzione, un sunto.

Quando parlo di iperproduzione che alla fine ci accieca, del Gange dei Social, della superficialità di come si tratta la luce, intendo questo: dobbiamo riflettere, soprattutto quando si tratta di testimoniare.

Le foto erano quelle che vedevo ierisera nella mia mente, ma il dolore e la paura dove sono? si perdono nel concetto di foto storica forse, si perdono nel tempo.
E allora?
Allora c'è un altro modo di usare la fotografia.
Allora mi è venuto in aiuto il Visual artist, con le sue foto/video emozionali... il suo Visual così a ritmo con la grande interpretazione di Baliani.

Una testimonianza ha bisogno di emozioni, non è mera documentazione, deve far passare stimoli e interrogativi.
E ritorno al sensoriale, ritorno a quel "vedere" che non è solo degli occhi,
sensoriale che non è solo sinestetico, che comporta uno scambio, un incontro, una fiducia verso l'altro...





"Armida vieni a prendermi, che mi hanno messo nel reparto dei scemi..."
















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