domenica 20 dicembre 2015

Le donne nel Calendario Pirelli e video da non perdere

Potevo esimermi dallo scrivere sull'ultimo lavoro della meravigliosa Annie Leibovitz per Pirelli?
No! No, visto che si parla di donne, uno dei temi a me più cari, e si parla di una delle più grandi fotografe contemporanea. Una di quelle che ha influenzato il mio modo di fotografare.
Omaggio dovuto quindi.
Non vi nascondo che quando ho visto la home page del sito Pirelli Calendar ed è partito il teaser del calendario ho pianto! Davvero, di emozione e di qualcosa che non so neppure definire.



Non so se era vedere molte delle donne che stimo di più al mondo tutte insieme, vere, senza troppi trucchi, non so se era vedere la grande Annie al lavoro.
O forse l'emozione veniva dal vederle li, a inviare un messaggio così importante come quello: "Siate Voi stesse, siate vere, si vince lo stesso", o se ad emozionarmi erano le facce, quasi tutte rugose di donne sagge, di donne che hanno un potere e lo usano per creare valore...
La mia vecchia battaglia, che ha visto molti eserciti sfaldarsi davanti alla spesso troppo dura realtà... ma questa è un'altra storia.

Credo che questo calendario segni una vittoria importantissima sulla superficialità che caratterizza la nostra epoca, si torna a parlare di donne che fanno, di donne che lottano, di donne che creano, di donne non solo belle: l’attrice Yao Chen, prima ambasciatrice cinese dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR); la top model russa Natalia Vodianova, fondatrice dell’organizzazione filantropica Naked Heart Russia; la produttrice Kathleen Kennedy, presidente di Lucasfilm e tra le figure più rilevanti di Hollywood; la collezionista d’arte e mecenate Agnes Gund (ritratta con la nipote Sadie Rain Hope-Gund), presidente emerita del MoMA; la tennista Serena Williams, numero uno del mondo; l’opinionista, critica e scrittrice Fran Lebowitz; la presidente di Ariel Investments Mellody Hobson, impegnata in progetti filantropici a Chicago; la regista Ava DuVernay, nota per aver diretto, tra gli altri, il film candidato all’Oscar 2015 Selma – La Strada per la Libertà; la blogger Tavi Gevinson, fondatrice del blog Style Rookie e del magazine online Rookie; l’artista iraniana di arte visiva Shirin Neshat; l’artista, musicista e performer Yoko Ono; la cantante Patti Smith, tra le più grandi protagoniste della musica rock; l’attrice e comica Amy Schumer.

Poi vedere il video e vedere Annie e Patti che ridono insieme, Yoko ono imbarazzata e tenerissima con due gambe da 15 enne e uno sguardo così profondo (sapevate che l'ultima foto scatta a Yoho e John prima che quest'ultimo fosse ucciso è proprio della Leibovitz?) mi ha prodotto una nuova fotografia nel cervello: quella della possibilità.


yoko ono su pirelli 2016
I capelli di Annie e il volto di una stupenda Yoko Ono Ottantenne
Già si può ancora fare tanto e bene per questo povero pianeta!
Questo è il potere dell'arte!


corpo con pancetta
Su questa fotografia parlerò ancora!  Il meraviglioso corpo umano 
Questo il potere della fotografia di valore, quella che non è mera autocelebrazione, non è solo riproduzione di ape in macro da mostrare agli amici, qui si tratta del potere della fotografia, forte quanto quello della parola, che non abbiamo ancora capito del tutto, che usiamo a vanvera, che usiamo negli account di Fabrizio Corona per insultarlo o insultare la sua povera Nina... (sono sconvolta dall'aver scoperto ieri questo su Instagram)
Spesso sul web trovo cose per essere tristi oggi invece ho trovato cose così belle e allora andiamo a scuriosare e a emozionarci!

Primo link 

Secondo link 
Terzo link

Buona visione Amici!!!

domenica 13 dicembre 2015

WHY IT DOES NOT HAVE TO BE IN FOCUS - La fotografia moderna spiegata da Jackie Higgins

Mentre mi recavo alla The Photographers' Gallery di Londra riflettevo sulla fotografia, su questo amaro in bocca che ho sempre quando penso alla fotografia e all'Italia...

Sono conscia che di grandi fotografi ce ne siano anche qua da noi, conscia delle ricerche che grandi talenti italiani sviluppano in fucine, offuscate da una sottocultura pseudo artistica, dell'esistenza delle lotte di tanti per diffondere cultura fotografica, ma purtroppo la mia disistima nei confronti del livello culturale visivo del nostro paese aumenta ogni volta che mi confronto con altre realtà estere.
Il rispetto per il lavoro di artista, la correttezza di relazione, il livello di cultura fotografica degli interlocutori esteri creano un gap così enorme che difficilmente mi riprendo prima dei 20 giorni dopo ogni mio rientro.

Siamo una nazione che denigra e sminuisce il valore e il talento, che diffida della dimensione artistica... e allora?

Riflettevo sul perché, andando alla Gallery, riflettevo sul come, sul quando si è perso il contatto con qualcosa di grande e potente che era la cultura fotografica italiana, quando si è smesso di ricercare, quando si è smesso di ragionare sui valori artistici spostandoci sui valori del successo e della visibilità...

Alla fine del mio tour alla Gallery, dove su 4 piani ho incrociato ricerche che andavano dalla testimonianza di crimini di guerra  nazisti, alle testimonianze di guerra attuale, alla fotografia di scene del crimine (con uno strumento americano inventato per fotografarle) il tutto contenuto in una grande riflessione sulla verità in fotografia, una vasta proposta sulla fotografia documentaristica, passando dai condannati a morte del governo Staliniano a una raccolta di mappe aeree sia militari che geografico-scientifiche, a uno spunto/provocazione sull'immagine della Sindone per finire poi su una analisi della decomposizione fisica... alla fine, dicevo, sono finita al piano della vendita delle fotografie e del book shop.
Ci vorrebbero altri post, che non è detto che non verranno scritti, per spiegare il tutto: dal numero enorme di bellissime riviste, anche auto prodotte, alla vendita di stampe di lavori molto particolari.
Sta di fatto che tra gli scaffali dei libri ho incrociato il libro di Jackie Higgins, un librettino che mi ha fatto pensare all'Italia, alla marea di club fotografici che continuano a auto celebrarsi con le fotografie di un'ape macro e di un panorama con l'orizzonte in bolla, e non mi si fraintenda, ognuno giustamente è libero di fare ciò che vuole, ciò che non capirò mai è perchè erigersi a giudici di una disciplina senza conoscerla al 100% negando la sua evoluzione, rapportandola solo al proprio metro, rifiutando la ricerca e la sperimentazione, via lo sappiamo, a noi Italiani tutto ciò che non conosciamo non piace, tutto ciò che ci illumina sulla nostra ignoranza viene tacciato di "facilità", di "follia", di "artisticità"...

E forse per la mia mania "divulgativa" per la mia eterna lotta a favore di "un'arte per tutti", non riesco a accettare la snobberia dei circuiti artistici, o meglio, so che nei "circuiti giusti" si parla di fotografia, di quella ricerca che tanto ambisco, che nelle nicchie la cultura fotografica c'è, ma non riesco ad accettarlo nell'epoca del web 3.0, quando non ha più senso classificare, e quando tutti hanno diritto di parola.

E' stato incrociando questo libro e ricordandomi una prefazione di Umberto Eco a una raccolta di scritti di Woody Allen che mi è venuta una idea: Umberto Eco racconta che quando vide i primi lavori di Allen e lesse le prime cose di lui sentì subito che in Italia c'era una parte di affamati di cultura che aveva bisogno di conoscerlo e cominciò a "importarlo". All'epoca non c'era internet, non c'era la facilità di scambio come oggi giorno, la cultura era ancora alla mercé di pochi, le classi operaie combattevano per il diritto allo studio, oggi la realtà è che potremmo avere tutta la cultura che vogliamo, non ci sarebbe neppure bisogno e io comunque non sono Umberto Eco, faccio la fotografa, e non sono famosa per i miei scritti, ma un clic è scattato e il titolo del libro "Perché non deve essere a fuoco", tradotto letteralmente, mi ha servito su un vassoio di argento una azione che mi dà la possibilità di uscire dalla misera e statica, inutile constatazione lagnante: proporre a chi ricerca qualche altra cosa, qualcuno che iniziando sente che la fotografia è molto più di ciò che fino ad oggi ha incontrato, qualcosa che dia degli input per capire che ci sono tante molte altre cose.

Nei vari corsi, incontri, dibattiti che ho tenuto ho incontrato molti di quelli a cui farà bene leggere questo libro e ragionare su di esso, tanti che erano (e sono) ingabbiati dentro regole castranti e paralizzanti, che limitano la loro espressione e il loro talento.

Così ho deciso di  prendere spunto dalla Higgins e raccontare un po di fotografia contemporanea sulle sue riflessioni, come fanno nelle grandi scuole, come fanno in tanti, si ma più saremo e meglio sarà. In fondo questo blog era nato per questo. In fondo la mia scuola ha la velleità di definirsi propedeutica alle grandi scuole.

Parto oggi e come oramai tutti sanno, la mia vita non ha ne ritmo, ne tempo per mantenere fede a questo mio proposito, ma mi son detta comunque, se leggete qui, incontrerete il libro che di spunti ne da davvero molti e poi non è detto che il tempo non lo trovi visto che il libro (ad ora solo in Inglese) è davvero una piccola preziosa chicca, e dentro cita, anche, due (solo due) italiani, e mi entusiasma perchè apre un sentiero che porta avanti, da una mini mappa per muoversi in tutto ciò che c'è.

Forza dunque per tutti gli appassionati di Fotografia e di Fotografia (non mi  va di ritirare fuori ancora termini come artistica o contemporanea) ecco tanti input e tanti stimoli.
Buona lettura e alla prossima!


http://www.amazon.co.uk/Why-Does-Not-Have-Focus/dp/0500290954






lunedì 12 ottobre 2015

Dave Heath: il fotografo della malinconia e delle emozioni

Dave Heat: Washington Square, New York City, ca. 1960 Gelatin silver print7 3/4 × 8 1/4 in19.7 × 21 cm
E allora andiamo a scuriosare su questo interessante fotografo:
Dave Hateh
Intanto scopro che è al Moma e questo lo accuso un po... non mi fraintendete, non conosco davvero tutti i fotografi del mondo, neppure quelli strafamosi, ma rimango male di non averlo ad aggi mai intercettato...

http://www.moma.org/collection/artists/2564?locale=en

E' attualmente esposto a Parigi, indicato nell'agenda del Paris Photo, fino al 15 Ottobre
http://www.parisphoto.com/agenda/dave-heath
e qui una bella chicca in Polaroid:
http://vintagephotosjohnson.com/2012/11/25/dave-heath-polaroid-project-ii/

Questo fotografo era un contemporaneo di Robert Frank, Gary Winogrand, e tutto il nuovo movimento di fotografi di strada degli anni '50 e '60. 



Dave Heath’s ‘Kansas City, Missouri’ (1967 negative, 1968 print). PHOTO: THE NELSON-ATKINS MUSEUM OF ART, KANSAS CITY, MISSOURI: GIFT OF THE HALL FAMILY FOUNDATION
© Dave Heath dal libro un dialogo con Solitude
Continuo a leggere e a documentarmi, e scopro per l'ennesima volta che, si, i "trasversali" li riconosco, i fotografi che lavorano sull'inconscio li "sento" guardando anche un solo scatto... Quanto ci sarebbe da dire su questo?


Dave nasce nel 1931 inizia a fotografare nei primi anni 50, scatta immagini che documentano tutto guerra, strada, volti, emozioni, fotografa seguendo le evoluzioni della macchina fotografica, usa veramente di tutto. Le prime fotografie sono della guerra di Corea. Tornato in America, ha continuato i suoi inseguimenti fotografici cercando da solo e seguendo i seminari di W. Eugene Smith, che, insieme a Robert Frank, gli hanno fatto emergere il suo personale e vero modo di esprimersi.
 Heath si focalizzerà sulla strade della città americane durante la fine del 1950 e '60, catturando scene intime di vita quotidiana con una fotocamera 35 mm. 
E' uno street photographer ma con una poesia che sembra provenire da una ricerca profonda nell'animo umano, "è convinto che il progetto fotografico sia più significativo che l'immagine singola" (trovo scritto in un articolo di una galleria americana), "lui spara in serie sulla base di temi, quindi"

Dave Heath: James J. Rotimer, Director, Metropolitan Museum of Art, New York City, ca. 1959Gelatin silver print6 1/2 × 9 3/4 in16.5 × 24.8 cm

Trovo molte immagini che confermano che ha lavorato con diapositive e con le Polaroid.

Dave Heath: Washington Square, New York City, ca. 1960Gelatin silver print3/4 × 8 1/4 in19.7 × 21 cm

Uno dei lavori più citati e che sembra interessantissimo è "Dialogo con la solitudine" che è poi diventato un libro, dalle immagini che sono riuscita a trovare, emerge una chiara ricerca sui sentimenti più negativi dell'essere umano.

Se siete collezionisti di libri ecco dove poter acquistare a svariati prezzi il suo  libro:

http://www.micamera.com/shop/rarita/a-dialogue-with-solitude-dave-heath/
http://www.amazon.com/Multitude-Solitude-Photographs-Dave-Heath/dp/0300208251

E siccome detesto i copia incolla riarrangiati vi linko questo bell'articolo sul wall street Journal
che parla proprio di questa serie e che racconta il lungo periodo che Dave ha attraversato:http://www.wsj.com/articles/multitude-solitude-the-photographs-of-dave-heath-review-1443478365

Ok Buona serata e alla prossima scoperta!

Riviste e Riviste!

Finito questo lunedì che definirei... di lotta... per restare positiva e yesss ce l'ho fatta!
Ora mi regalo un bel viaggio tra immagini sul web... io ho bisogno di guardare le fotografie... per farne poi delle mie... non capirò mai l'aspetto narcisistico di certi fotografi che guardano solo le loro immagini... le immagini degli altri sono mondi infiniti, vengono dai loro occhi...
Cerco sempre riviste straniere, purtroppo quelle italiane che ho intercettato fino ad oggi mi annoiano, tranne qualche rara chicca, che spesso cmq viaggia on line, per cui cerco riviste estere e alternative, e purtroppo però constato sempre di più che la globalizzazione ci sta davvero uccidendo e che i motori di ricerca non ci regalano troppe chicche...ma sapete com'è io ci lavoro con il terribile SEO per cui... qualche chicca (sempre secondo me) me e ve la regalo!
cominciamo con Bon.se Rivista Svedese, di moda, si terribilmente di moda, ma tant'è che forse questi svedesi, sempre al freddo come sono, sempre senza sole, le fotografie le cercano, saltando a piè pari le foto di sflilata, quelle si che sono tutte uguali, mi sono messa a scuriosare tra le varie rubriche e qualche cosina ho trovato... se non altro la sezione Arte con spunti interessanti... Ma parlo di fotografia, ho trovato alcune immagini che mi hanno catturato... Ad esempio:
i ritratti di Ivan e Alexander, e anche l'articolo è interessante, omosessualità in russia, non leggo lo svedese Emoticon smile ma google page traduce dignitosamente.
rivista e altre foto a questo link
http://bon.se/article/vi-vill-inte-provocera/
Mi è piaciuto? Sicuramente meno lezioso di tante nostre riviste di moda...


Poi capita che su un'altra rivista americana trovi queste foto da urlo:




Striped bodysuit for Aladdin Sane tour, 1973 | Design by Kansai Yamamoto | Photograph by Masayoshi Sukita | © Sukita / The David Bowie Archive 2012














e
Album cover shoot for Aladdin Sane, 1973 | Design by Brian Duffy and Celia Philo, make up by Pierre La Roche | Photograph by Brian Duffy | © Duffy Archive
su una articolo di Clear_Mag
http://www.clearmag.com/
Il giornale è interessante anche per I phone e Tablet


‪#‎magazine‬ ‪#‎art‬ ‪#‎fotografia‬ ‪#‎photography‬ 
E direi che il video della home di Exit è l'appropriata accoglienza e premessa...
http://www.exitmagazine.co.uk/splash


‪#‎magazine‬ ‪#‎art‬ ‪#‎fotografia‬ ‪#‎photography‬
Vado subito alla sezione fotografia
La rivista è londinese...
nelle varie presentazioni mi inpunto su
Dave Heat che non conoscevo (giuro non li conosco tutti!)
e le cui immagini mi rapiscono per un po... ricerco un po e si, mi rendo conto che il suo lavoro va approfondito...
per cui credo che passerò la serata a cercare di lui...
http://www.howardgreenberg.com/artists/dave-heath
ehm occhio agli omonimi... Questo Dave qui è da evitare (come fotografo, perchè nella sezione about mostra un bell'occhio!), ma un'occhiata dategliela e se vi viene davanti a qualche fotografia di esclamare "dai però questa è belle...bhe cercatevi un bel po di fotografi da guardare!"
http://www.daveheathphotography.com/…/tg4z6gfyzyndn0ricckyi…
Per stasera basta riviste mi dedico a Dave!
Photo di Dave Heat
e Photo di Dave Heat


martedì 1 settembre 2015

GENERALIZZAZIONI ALIENANTI... Stop al razzismo


Quando ho realizzato questo progetto ho incontrato immigrati in Italia da tutti le parti del mondo: USA, CANADA, SIBERIA, SUD AFRICA, ORIENTE tanti paesi del mondo... e tutti soffrivano di nostalgia della loro terra, tutti si erano spostati per un motivo importante, ma le storie più assurde e dolorose erano quelle di chi veniva da un paese dove c'era la fame o la guerra, io fotografavo e a volte piangevamo insieme durante i racconti, è stata un delle più belle sperienze della mia vita, l'incontro vero, non filtrato da media e cazzate varie, uomini e donne, vite reali...
Questo divento un lavoro di marketing e ne fui fiera, il concetto di essere umano, non di cittadino di una nazione, ma Cittadino del mondo, Figlio della madre terra.
Guardateli questi occhi, forse li conoscete, forse capirete cosa significa uscire dalla GENERALIZZAZIONE ALIENANTE, che ci fa dimenticare che OGNI ESSERE UMANO è UNA VITA PREZIOSA, tra l'altro legata alla nostra... Non sono GENERICAMENTE "IMMIGRATI"... Sono RIPETO, Esseri umani, che come noi "Eletti" soffrono, piangono, si ammalano, invecchiano, muoiono... perchè vi dico questo? perchè forse si è perso di vista il senso vero della vita......

sabato 4 luglio 2015

Mio Nonno e TRINCEE di Marco Baliani - Orizzonti Verticali - San Gimignano Siena



Alcune volte certe coincidenze mi sorprendono, mi lasciano a sguazzare nella mia mente (o nel mio cuore) per giorni...

Io non ho avuto 4 nonni come tutti, perchè mia madre ha perso i genitori prima che io nascessi e io li ho conosciuti dalle lettere, dalle fotografie, ma nella mia mente i nonni erano solo due, i genitori di mio padre.

Ho avuto ed ho  un legame profondissimo con loro: mio nonno è morto quando avevo 18 anni, mia nonna è una fantastica 86enne.

Ho fantasticato tanto sulla vita di mio nonno, perchè quando ho avuto il tempo  della curiosità lui non c'era più, ho intervistato mia nonna, l'ho ripresa con la telecamera, l'ho ovviamente fotografata mentre mi raccontava la loro vita, il loro matrimonio, le loro lotte, i lutti, le gioie, la malattia, la morte,  ma di lui mi rimangono solo i suoi ricordi, i miei ricordi... e tanti troppi interrogativi.

Non raccontava della guerra, non raccontava della sua prigionia in Inghilterra.
Si sedeva sotto un olmo e guardava la collina che sorge dietro la nostra casa in Maremma, e io che ero piccola, mi sedevo accanto a lui, il mio nonno, quello che mi portava il MARS, i BOERI, i trenini a molla, lui il giovedì veniva a Grosseto, andava al mercato e passava a trovarci: giocattoli, ogni volta, cioccolate, e sotto a quel suo albero mi chiedevo a cosa stesse pensando, gli facevo le domande dentro di me e mi immaginavo le sue risposte.
Era un uomo buono, sorrideva sempre.
Ricordo le nuvole di fumo bianco del suo trinciato, le sue cannottiere bianche e la sua mano senza un dito, e ricordo quando mi portava sulla vespa o in bicicletta, ricordo le nostre colazioni con il suo pane abbrustolito perchè le merendine "non erano buone".

Porto da molti anni con me una sua foto, sarà del 1930, è giovanissimo, lui era del 1914, è nato l'anno prima dell'inizio della grande guerra. Ha partecipato alla seconda.
So che fu fatto prigioniero, so che lo portarono prigioniero in Inghilerra, che lo avevano dato per morto, ma poi non so altro.

Ho sempre pensato che lui pensasse alla guerra sotto quell'olmo, ho sempre pensato che la guerra che lui aveva visto doveva essere così terribile che non se ne poteva parlare in tempo di pace, davanti ad anime indifese come quelle dei bambini.

In questi giorni lo penso, mi viene in mente quando mangio un gelato all'amarena, che non so perchè associo a lui, lo penso quando la sera entra un po di aria fresca dalla finestra dopo il caldo torrido di queste giornate e si sente il profumo di salsa di pomodoro che cuoce sul fuoco, lo penso quando penso alla guerra... e mi chiedo quanto male deve avergli fatto, a lui e a quelli della sua generazione, quanto male faccia a tutti.

Ieri sera sono stata a vedere Marco Baliani e il suo spettacolo a San Gimignano per la serie di eventi di Orizzonti Verticali e ho trovato la voce di mio nonno.

Certo la guerra di cui parla Baliani è quella del 15-18, ma io credo che gli orrori della guerra non cambiano, non diminuiscono di guerra in guerra.

Avrei voluto piangere, ma come sempre faccio, ho chiuso, consapevole che fosse davvero troppo per la mia sensibilità, ero li in trincea, in mezzo al fango...

C'era la voce di tutti quei ragazzi giovani mandati a morire, come dice Baliani a un certo punto, solo per far guadagnare qualcuno, c'era il sangue, le ferite, il puzzo di urina, il puzzo di sangue rappreso, di adrenalina, di paura, di assurdità.

C'era un Marco Baliani da solo, con una proiezione e un manichino.

Poi c'era il male della guerra e la grandezza di un attore che ci ha preso tutti e ci ha messo dentro un film, tra granate e gas mortali, tra voglia di libertà e rassegnazione alla condizione di schiavi, servi, soldati.
Che ci ha accompagnato, a volte lacerandomi, nell'assurdità della guerra.

Bellissimo anche il lavoro del visual artist, ci vorrebbe un altro post...

Ho aspettato oggi per realizzare, comprendere che ieri sera sono riuscita a sapere da cosa mio nonno mi proteggeva, da cosa ha protetto tutta la sua famiglia: una peste che si augurava non dovesse più tornare.

Oggi ho continuato a risentire nel cuore e nella mente i monologhi di Baliani: le lettere che si scrivevano dal fronte per rassicurare quelli a casa, l'onore per la patria, la paura della morte o la sua ricerca, la fame, la sete, l'ingiustizia dell'essere nati poveri e essere in trincea, i pidocchi, le mutilazioni, la diserzione unica saggezza in quella follia, la follia di chi aveva eseguito gli ordini ed era andato contro la propria morale...


Uno spettacolo per i potenti che decidono le sorti dei popoli, uno spettacolo per il popolo che si educhi a disertare il concetto di guerra, a comprendere che siamo tutti esseri umani, degni di vivere...

E la fotografia?
Marco Baliani mi ha scaraventato addosso un milione di fotografie, la sua recitazione sinestetica mi mostrava distese di morti, le strette trincee, le bombe che esplodevano, i soldati che morivano in corsa e io sono andate a cercarle quelle foto, sono quelle che ho incollato qui sotto.

Una foto è una testimonianza ma forse certe foto ci hanno come anestetizzato, sono meno potenti, meno efficaci, sembrano lontani...lo dice anche la Sontang, Sulla fotografia, del fascino delle foto di guerra ma del pericolo che ci si abitui che si fraintenda il contenuto bidimenzionale con la verità. La fotografia è sempre una selezione, una riduzione, un sunto.

Quando parlo di iperproduzione che alla fine ci accieca, del Gange dei Social, della superficialità di come si tratta la luce, intendo questo: dobbiamo riflettere, soprattutto quando si tratta di testimoniare.

Le foto erano quelle che vedevo ierisera nella mia mente, ma il dolore e la paura dove sono? si perdono nel concetto di foto storica forse, si perdono nel tempo.
E allora?
Allora c'è un altro modo di usare la fotografia.
Allora mi è venuto in aiuto il Visual artist, con le sue foto/video emozionali... il suo Visual così a ritmo con la grande interpretazione di Baliani.

Una testimonianza ha bisogno di emozioni, non è mera documentazione, deve far passare stimoli e interrogativi.
E ritorno al sensoriale, ritorno a quel "vedere" che non è solo degli occhi,
sensoriale che non è solo sinestetico, che comporta uno scambio, un incontro, una fiducia verso l'altro...





"Armida vieni a prendermi, che mi hanno messo nel reparto dei scemi..."
















venerdì 13 marzo 2015

Come promuovere il proprio lavoro di fotografia

Vi segnalo un interessante articolo sul blog di WorldPhoto.org che ci presenta The Hub, il nuovo sistema di ordinazione che funge anche da piattaforma per la vendita di stampe di The print Space, The Hub è completamente ottimizzato per la condivisione nei social media.

Viene affrontato il tema di come promuovere il proprio lavoro nell'intervista a Ameena Rojee del reparto marketing di theprintspace che racconta la sua esperienza e suggerisce come muoversi per farsi notare nel mondo dei Social.

Interessanti alcuni punti:
- Parlare con gli altri, del settore come riviste, fotografi ma anche con la gente comune, creare una rete reale, fatta di passione e impegno.

- Contattare gli uffici stampa con i Social perchè oggi è molto più facile ed efficace.

- Essere costanti e tenaci.

e secondo me bellissimo:
raccontare la vostra ricerca, far capire il vostro lavoro.

Incoraggiante e realistico questo articolo.
E' in inglese, ma come spesso faccio vi consiglio di usare google traduttore on line, la traduzione è comprensibile e così non vi perderete tanti ottimi consigli!

Ogni volta che rientro in Italia, mi prende un po di sconforto, siamo travolti, noi fotografi, da l'onda di "improvvisatori" che con la crisi è emersa fortissima, confondendo clienti e investitori, tutti ci siamo sentiti dire una volta nella nostra carriera di fotografi o professionisti della comunicazione "le fotografie ce l'ho già" per poi scoprire dei lavori terribili, amatoriali, senza progetto, frutto di ignoranza e limitazioni tecniche.
All'estero, e non sono un'esterofila per eccellenza, si parla di specializzazioni, di percorsi creativi, di professionalità e rispetto.
E inoltre spesso in Italia si lavora per conoscenza, non per bravura, data la scarsa cultura visiva.
Mi incoraggiano quindi molto questi strumenti, queste nuove realtà, che danno la possibilità a chi è bravo di essere visto, di entrare in contatto con il mondo del lavoro professionale.
Ovviamente non senza sforzo, ma niente si ottiene senza esso.
La mia prima esperienza con eccellenti risultati è stata con il collettivo See.me, che mi ha fatto esporre molte volte a Newyork le mie immagini, creando visibilità mondiale in eventi di enorme portata come Art take Miami o Art take Paris.
Per cui dateci sotto con costanza e provate senza quel classico atteggiamento italiano disfattista!
In questo articolo molte dritte utili ed efficaci.

Questo il link dell'articolo:
http://www.worldphoto.org/community/blogs/top-tips-to-promote-your-work-online-with-theprintspace/
foto dal sito www.worldphoto.otg

sabato 7 febbraio 2015

Serie Poeti - John Keats Leggendo: “La fotografia. Una storia culturale e visuale” di Graham Clark

Nell'ultimo libro di fotografia contemporanea che sto leggendo
si fa continuo riferimento alla poesia.
E' un testo bellissimo, che è stato scritto nel 1997 pubblicato nel 2009 in Italia e che ha confermato moltissime delle mie idee sulla fotografia e purtroppo anche l'enorme ritardo dell'Europa su certi temi fotografici, Ma in fondo la Fotografia ha trovato i suoi massimi sperimentatori oltreoceano e quindi poco c'è da meravigliarsi.

Fotografia come arte, fotografia come processo di espressione di qualcosa che è profondamente celato nell'animo umano.

E un continuo appunto paragone tra la poesia e la fotografia, tra il poeta e il fotografo...

In questo periodo la poesia è al centro del mio lavoro...

E allora escono immagini come questa dai miei pensieri, dai miei incontri, per celebrare la bellezza di ciò che si illumina in me.

Omaggio a uno dei più grandi poeti del 800

L'immagine è nella galleria newyorkese on line See.me
vedi la galleria

I feel like I dissolve photo Vanessa Rusci

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