Al convegno a Milano di Marzo, Ai ad interim, organizzato da Angelo Cucchetto e Sonia Pampuri, dove hanno partecipato personaggi importanti del panorama della comunicazione, dell'arte, delle neuroscienze, della moda e della fotografia italiana, durante una talk, ho riassunto un mio complesso ragionamento sullo stato della fotografia con: "La fotografia è morta!".
Parlava più l'inconscio che la mente e in un moto misto tra provocazione e rivincita è uscita questa frase che fino ad oggi mi ha gironzolato tra i pensieri.
La morte della fotografia.
È sicuramente avvenuta molto tempo fa.
Tant'è che Fontucuberta cominciò a parlare di Post-fotografia.
Morta perché diventata di massa? Perché poco colta? Perché vittima di logiche commerciali di un mondo iper capitalistico e consumistico? Morta per la nostalgia dei puristi? Morta per non essere mai stata davvero capita?
Si e no, morta soprattutto per la mancanza di rispetto, quella povera Fotografia che ha faticato ad essere definita Arte, nonostante Man Ray, per citare uno dei mille che comprese subito la potenzialità di quella pratica fatta di alchimia e scienza.
Morta insieme a tanta cultura, sacrificata all'ego, all'ignoranza, al narcisismo (spesso usato a sproposito da chi è rimasto naufrago nelle isole del "Fu"), a volte all'ingenuità di chi, schiavo di una vita misera nei meccanismi del mondo pollaio, cerca nella "facilità" del mezzo una via di riscatto: notorietà e fama... e mi fermo, per non scivolare nelle mie solite polemiche sulla stupidità della razza umana, riportando invece la frase con la quale concludo i miei corsi: la Fotografia è una cosa seria.
E bisognerebbe ricordarselo.
Quindi le intelligenze artificiali non c'entrano. No. Non l'hanno uccisa loro, non la uccideranno.
E aggiungo che forse c'entra anche la fine di un era e di un sistema economico che stiamo vivendo, che si porta via illusioni e certezze che ci facevano credere di essere immortali e avere risorse infinite.
La resistenza
Ci sono stati dei sopravvissuti, a volte celebri, a volte meno noti alla massa o addirittura sconosciuti, mi si conceda l'uso di questi termini.
Penso a Lisetta Carmi, a un indispensabile Carlo Garzia, ai preziosi Sandro Iovine, Simona Ghizzoni, Sara Munari, Antonio Biasucci, Efrem Raimondi, Lorenzo Massi Cicconi e mi fermo perché la lista è davvero lunghissima. FOTOGRAF* prima di tutto.
Sopravvissuti perché hanno stoicamente continuato e continuano a fare arte e diffondere cultura.
Questo ha permesso a un certo tipo di fotografia di sopravvivere e di contaminare chi ha avuto la fortuna di incontarli.
La defunta.
Una parte della fotografia è defunta. Più volte nel tempo.
La fotografia commerciale, quella da stock, quella di still life, quella dei cataloghi cartacei ed online, ma anche quella dei grandi reportage.
Lo era da un po, pensate alle bottiglie di vino: usavamo tutti la stessa foto di bottiglia e i tempi di quelle "idee" per dare un tocco personale erano già scomparsi, causa avidità, causa crisi economica, causa ignoranza.
Morirà anche quella di moda? Forse sì... per motivi di praticità e sempre economici.
E cosa sarà del Reportage? Dei matrimoni? Delle foto ricordo?
Il superstite
Quello che non morirà mai, nonostante i gravi virus e gli incidenti è il/la fotograf*.
Chi è colu*? La mia definizione è che il/la fotograf* è colu* che ha un programma nel cervello per vedere, interpretare, immaginare il mondo. E lo fa costantemente, sia che lavori, che passeggi, che sia in vacanza o in guerra, innamorato o incavolato: il fotografo vede e pensa per immagini.
Lontano dalle logiche misere del successo e del guadagno, non che le disdegni per carità, il fotografo ha una esigenza: raccontare, raccontarsi e farlo con le immagini.
Le scuole e tutti i corsi-corsetti-corsettini, con nomi declinati più o meno in inglese, forse dovrebbero parlare di questo. Piccolo inciso: la terribile abitutidine di dare temi comuni per progettini che poi si vogliono far diventare progettoni, invece che semplici esercizi, contribuiscono costantemente a uccidere la Fotografia, creando zombi-fotografi. Meditate gente, meditate e chiuso inciso.
Il fotografo quindi non è a rischio se segue il suo "codice dell'anima" per dirlo alla Hilmann, non muore questa professione se chi è fotografo decide di "usare" la fotografia per mostrare il proprio talento, la propria unicità, la propria vitale, energica, originale, immaginazione.
La nuova era: rinascere grazie alle AI?
Ci vorrebbe un incipit di nozioni di comunicazione e marketing per introdurre meglio la mia prossima "pensata". Spiegare concetti come Target e segmenti di mercato, per uscire dall'idea farlocca che la Fotografia sia un UNICUM marmoreo e assoluto. Lo risparmio dichiarando che per me la Fotografia è un mondo vasto ed eterogeneo dove ancora tutto può accadere.
In questo mese riflettevo sul fatto se avessimo ancora bisogno di immagini e di fotografi, se bastasse la sola immaginazione per creare immagini. Alternavo le risposte tra NO e Sì assoluti cadendo poi in un mare di combinazioni che potrebbero far impazzire anche una mente avvezza all'elucubrazione (o se preferite alla PIPPA) come la mia.
Poi l'altro giorno camminando su una strada di sampietrini bagnati dalla luce e scintillanti di post-temporale ho avuto l'esigenza di fermarmi a guardare: quella magia di luce mi ammaliava, mi tratteneva, accendeva emozioni vitali, mi spingeva a scattare una foto, volevo bloccare quell'istante, farlo mio, testimoniarlo. Ed ecco che mi riscoprivo fotografa, tornavo al vecchio moto d'anima e cuore che mi muove da più di 35 anni: vedere, interpretare, immaginare il mondo.
L'atto di scattare una fotografia è totalmente differente dal generarla.
Anche quando è in studio, quando è su layout, quando è ritratto, reportage, contiene quell'errore di cui parla Clément Chéroux, ne lodato ne elogiato, che forse è caso, sincronicità, sensibilità, empatia, consapevolezza, impulsività.
Se come dice Michele Smargiassi la Sintografia è parente prossima della fotografia, l'atto fotografico è qualcosa di invece molto diverso dalla generazione di immagine.
Sicuramente ha anch'esso delle similitudini con la sua attuale antagonista ma finiscono nel rapporto con il reale.
Ecco la fotografia generata è un sogno, una sublimazione, figlia di un mondo solo immaginario.
Lo scatto fotografico ha sempre a che fare con il reale e la luce, quella che vibra, che ci mostra il mondo. Un reale parziale, interpretato, filtrato da chi scatta, un reale d'autore se chi scatta è un/a Fotograf*.
Ed ecco quindi che accadrà che la generazione di immagini, le temute AI, farà rinascere la Fotografia, non forse a livello commerciale, ma questo dipenderà dalla bravura degli uomini di marketing delle varie case produttrici di telefoni e macchine, perché per quanto l'essere umano ami fuggire dalla realtà non può farne a meno. Lo dice anche una legge del marketing: l'essere umano si annoia di ciò che è solo sogno, il suo corpo e la sua mente hanno bisogno di esperienze reali, e per ora state tranquilli nessuna intelligenza artificiale riesce a emulare perfettamente la realtà e se dovesse farlo in futuro arriverà sicuramente il nostro Neo a salvarci.
Intelligenza artificiale: solo un tool che ci mostra le nostre falle e le nostre debolezze
Con questa ennesima mia dichiarazione d'amore alla fotografia c'è rischio che si possa intendere che io sia contro le AI, in realtà io le adoro.
Le considero un nuovo tool, uno strumento per creativi e artisti, fotografi, e per tutti i lavoratori in generale, che ci dà la possibilità di svolgere meglio e più velocemente il nostro lavoro.
Per il tema copyright lascio a chi sta scrivendo le norme, personalmente riconfermo che per me è solo una questione di ignoranza e avidità.
Per tutti gli altri complessi temi e ambiti mi astengo qui dal proseguire ma concludo che i limiti, i difetti, sono umani e non degli algoritmi.
Questa foto è una mia fotografia digitale
La danza del Sufi
scattata nei primi anni del 2000 della mia serie Flowers and Poetry